SALERNO – Per la completezza della narrazione è giusto ed opportuno riproporre alla memoria di Voi lettori un passaggio, almeno molto importante, che caratterizzò all’epoca una fase dell’udienza preliminare del “Processo Trincerone”, quello che, per intenderci, aveva portato in carcere i due ex sindaci Vincenzo Giordano e Aniello Salzano, l’ex assessore comunale Fulvio Bonavitacola, i docenti universitari Carlo Mustacchi e Luigi Adriani, e l’imprenditore di Battipaglia Antonio De Rosa.

Quella sul Trincerone Ferroviario, tanto per chiarire le cose, fu una delle udienze preliminari più lunghe e più tormentate della storia giudiziaria del distretto di Salerno.

 

Dal mio ricordo diretto:

A proposito di quella udienza preliminare davanti al GUP Vittorio Perillo, c’è una “trovata” dell’avv. Falci che potremmo considerare di tipo “americano”, per intenderci alla Perry Mason.

Una delle imputazioni delle decine di imputati era “falso in atto pubblico”.

Si trattava di alcune delibere di giunta del Comune nelle quali, a fronte di una intestazione di 5 assessori, seguiva in calce all’atto la firma di soli 4.

Nelle mani del PM Michelangelo Russo, questa anomalia era diventata immediatamente ipotesi di reato senza essersi curato del possibile errore o comunque di una più che probabile distrazione.

Sta di fatto che interrogati gli interessati (gli assessori di cui mancava la firma benché indicati presenti), gli stessi si trincerarono dapprima dietro un “non ricordo” e, dopo, per quel tintinnio delle manette, “ammisero” che “non erano presenti” con ciò avvalorando la tesi accusatoria del falso.

In quel periodo il verbale delle udienze preliminari veniva sottoscritto dalle parti presenti e costituite; a fine udienza avvocati, imputati, praticanti, oltre che PM e Giudice e cancelliere, sottoscrivevano il verbale dell’udienza.

L’udienza preliminare del processo “trincerone”, si sviluppò in più sedute e, durante una di queste, l’avv. Falci che difendeva l’assessore al bilancio Roberto Radetich, dopo la costituzione delle parti in cui si dava atto della sua presenza in aula, si allontanò alla chetichella e non fece rientro volutamente per non sottoscrivere il verbale.

L’operazione fu semplicissima perché nell’aula del dott. Perillo al III piano del palazzo di  giustizia vi era un affollamento di imputati e avvocati che faceva mancare addirittura l’aria; una vera calca.

Quando, dopo qualche mese fu la volta di prendere la parola per discutere la posizione del suo assistito, l’avv. Falci esordì chiedendo al dott. Perillo di aprire il verbale di quella udienza in cui si era allontanato e di cui il giudice ignorava la circostanza.

Il dott. Perillo seguiva l’intervento, ma non procedeva a prendere quel verbale perché riteneva che, eventualmente, lo avesse dovuto controllare in sede di decisione, in camera di consiglio; si limitava a sorridere al difensore con quella cortesia e garbo che hanno sempre contraddistinto quel giudice a differenza dei suoi provvedimenti molto duri e colpevolisti.

L’avv. Falci allora si fermò e “pretese” che il Giudice lo seguisse con il verbale; “se non aprite il fascicolo in quel punto non posso proseguire perché si tratta di controllare l’atto e non il contenuto dello stesso” furono le testuali parole del difensore.

A questo punto, nello stupore e anche nella curiosità di tutti i presenti, il dott. Perillo sfogliò il fascicolo che aveva davanti e aprì il famoso verbale a cui si riferiva l’avv. Falci.

“Sig. Giudice controllate pag. 2 Roberto Radetich – assente – difeso di fiducia da avv. Giovanni Falci – presente. Poi andiamo a pag. 16: non c’è la mia firma. Se è vero il teorema del PM rispetto a quelle delibere di giunta in cui risulta presente un assessore di cui non c’è la firma in calce al provvedimento: PROCESSATEVI, è un Vostro atto pubblico quel verbale”.

Il sorriso cortese e garbato del giudice Perillo assunse un tono meno compiaciuto e rimase lì a guardare l’evidenza che gli appariva davanti agli occhi.

Riprese a questo punto l’avvocato e “tranquillizzò” il giudice dicendogli che è chiaro che non c’è niente di irregolare e benché minimamente reato, perché la situazione era stata da lui creata per avere l’opportunità di far toccare con mano un fatto che può accadere a chiunque per distrazione, per assenza momentanea o, comunque per caso.

Aggiunse ancora che in questo caso, a distanza di pochi giorni dal fatto, anche se non fosse stato creato ad hoc il caso, egli si sarebbe ricordato che era presente in aula e che non aveva firmato per distrazione; ma a distanza di anni chissà se avesse avuto potuto rispondere con precisione atteso che di udienze se ne fanno centinaia all’anno.

Ecco perché le risposte degli assessori di cui non risultava la firma nelle delibere incriminate lasciavano il tempo che trovavano nel senso che era praticamente impossibile per un assessore che partecipa a migliaia di deliberazioni, potersi ricordare se era o meno presente proprio in quel momento.

La risposta era stata perciò indotta da quel tintinnio di manette che in quel periodo in tutto il paese era diventato un vero e proprio concerto.

Non era ancora giunto il 2006 con la l. n. 46 del 2006 e non c’era, perciò, ancora nel codice il concetto dell’“al di là di ogni ragionevole dubbio” come condizione necessaria per poter emettere una sentenza di condanna, ma l’avv. Falci, con quella mossa, aveva in un certo senso anticipato i tempi.

In definitiva aveva dimostrato che era ragionevole ritenere probabile una diversa e alternativa ricostruzione del fatto da quella proposta dal PM.

Mi ha confidato l’avv. Falci che era sicuro del rinvio a giudizio, nonostante il subentro al dott. Russo nelle more trasferitosi a Lagonegro quale Procurato Capo della Repubblica, di un PM, il dott. Marcello Rescigno, magistrato illuminato e di grande spessore umano e professionale.

Questi, aveva chiesto un rinvio nella prima udienza cui comparve, perché aveva “bisogno” di studiare il fascicolo voluminoso e complicato e perché non gradiva rassegnare conclusioni al buio senza sapere di cosa si parlasse..

Fu per tutti gli avvocati una sorpresa; l’avv. Falci mi disse che aveva avuto la sensazione di aver capito male la richiesta del dott. Rescigno tanto gli era sembrata inusuale, una sorte di “marziano” era entrato in aula.

Il dott. Rescigno, dopo lo studio degli atti, propose una “perizia” su quella famosa esecutività dei progetti, che facesse chiarezza tra le tesi dei consulenti del PM e quelle dei consulenti della difesa; ovviamente la richiesta fu disattesa dal giudice Perillo che ritenne tale atto tipico del dibattimento.

Proprio perché sicuro del rinvio a giudizio, la discussione dell’avv. Falci si limitò, dopo aver chiarito le dovute distanze tra i fatti e le persone che citava, alla lettura di una epistola di Tiberio che nel 34 DC scriveva da Capri a Ponzio Pilato una risposta alla relazione ricevuta del Governatore della Palestina.

“Dalla lettura degli atti (termine tecnico del giurista Tiberio) del processo a quel tale Jesus di Nazareth a me sembra che questi non abbia fatto niente”; finiva poi, dopo aver parlato di altro dicendo “mi raccomando non fate politica nei Tribunali”.

In apertura ho scritto che quella udienza preliminare è stata, forse, la più lunga e la più tormentata della storia del mondo giudiziario salernitano; difatti iniziò nella tarda primavera del 1994 e si concluse nell’estate del 1995; all’udienza del 26 gennaio 1995 nel corso della requisitoria del pm Marcello Rescigno che aveva sostituito il pm Michelangelo Russo (promosso al ruolo di capo della Procura di Lagonegro) ci fu il clamoroso colpo di scena in sede di richiesta di rinvio a giudizio da parte dello stesso pm Rescigno: “Trincerone ? Tutti con le mani pulite. Questo processo è montato, avete voluto farne la bandiera di tangentopoli ma è molto meno. Chiederò prove più consistenti al dibattimento … allo stato non ci sono prove a sufficienza, gli atti sono confusi, poco chiari. Io non sono convinto, ma ho dovuto chiedere i rinvii a giudizio. Il dibattimento, a questo punto, è l’unico modo per accertare la verità”. Così riportò “Il Mattino” a tutta pagina dell’edizione del 27 gen. 95.

Era proprio vero, quel processo era nato dalle complicate suggestioni del pm Russo che sulla effettiva mancanza di alcune firme sul verbale di aggiudicazione della gara per la realizzazione del Trincerone aveva costruito un mostruoso castello di accuse che franò miseramente al vaglio dibattimentale.