Importantissima e innovativa sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che ieri, in udienza pubblica, hanno accolto la tesi sostenuta dall’AVV. GIOVANNI FALCI del Foro di Salerno in tema di dichiarazioni false o non veritiere per accedere al reddito di cittadinanza.
Le Sezioni Unite nella udienza del 13 luglio, PRESIDENTE DOTT.SSA MARGHERITA CASSANO, CONSIGLIERE RELATORE ED ESTENSORE DOTT. ALDO ACETO, con l’intervento del PROCURATORE GENERALE DOTT. PIETRO GAETA, hanno emesso l’importante sentenza nel processo a carico di E.G. difeso dall’AVV. GIOVANNI FALCI.
La questione riguarda la vicenda di E.G. da Sarno che era stato ammesso al beneficio del reddito di cittadinanza dal 01.03.2019 a seguito della domanda inoltrata in precedenza.
Come per legge, allegata alla domanda era stato inoltrato il modello ISEE che consiste in una autodichiarazione sulla propria situazione patrimoniale e reddituale.
Il sig. E.G. aveva dimenticato di dichiarare una quota di 1/6 di una proprietà indivisa giunta in successione alla di lui moglie.
La G.d.F. di Scafati aveva accertato tale fatto e aveva proceduto a denunciare il sig. G. per violazione dell’art. 7 D.L. n. 4/2019 che è la legge istitutiva del c.d. reddito di cittadinanza. La stessa G.d.F. aveva però precisato che, in ogni caso, anche con l’aggiunta della quota di reddito non dichiarata nella autodichiarazione, il sig. G. avrebbe beneficiato del contributo statale perché la parte non dichiarata non avrebbe influito sul superamento della soglia di ammissione al beneficio.
In primo grado il Giudice per l’udienza Preliminare del Tribunale di Nocera Inferiore al quale era stata fatta domanda di giudizio abbreviato, e in secondo grado la Corte di Appello di Salerno, avevano ritenuto E.G. responsabile del reato e anche di truffa ai danni dello Stato. Addirittura non lo avevano ritenuto neanche meritevole delle attenuanti generiche nonostante fosse un incensurato di oltre 60 anni.
Il ragionamento di questi Giudici faceva leva sul fatto che rendere una dichiarazione non veritiera rientra nella categoria del falso che è reato posto a garanzia della fede pubblica; inoltre questi giudici facevano un parallelismo tra questo reato e quello previsto dall’art. 95 DPR 115/2002 che prevede la punizione di chi attraverso dichiarazioni non veritiere ottiene l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato (il c.d. gratuito patrocinio); infine i giudici avevano ritenuto che il dolo che avrebbe sorretto l’azione del sig. G. era in re ipsa e cioè era nel fatto che volontariamente avrebbe attestato un fatto non vero.
Avverso queste decisioni l’avv. Giovanni Falci proponeva ricorso per cassazione e in data 11.10.2022 la III sezione della Corte di Cassazione riteneva necessario che la questione fosse risolta dalle Sezioni Unite della stessa Corte attesa la complessità delle questioni dedotte dalla difesa che aveva attaccato la motivazione della Corte d’Appello sotto molteplici profili di diritto.
Ieri l’epilogo: il PG ha dichiarato nella sua requisitoria di aderire in pieno alla tesi dell’avv. Falci che l’ha illustrata nella discussione orale.
In definitiva l’avv. Falci, seguendo quello che è prescritto dall’art. 12 delle preleggi (“che è una vera e propria norma giuridica e non è una preghiera, né un progetto, né un consiglio” testuale), ha sollecitato a comprendere sia il criterio letterale, sia il criterio dell’intenzione del legislatore.
Le due locuzioni “al fine di (…)”, e l’avverbio “indebitamente” contenute nell’art. 7 D.L. n. 4/2019, secondo l’avvocato chiudono il discorso da tutti i punti di vista.
Letteralmente è esplicito il richiamo al dolo intenzionale (al fine di …); e la volontà del legislatore la si comprende da quel “indebitamente” che diventa il fulcro del ragionamento. Il legislatore vuole vietare l’elargizione di benefici non dovuti; se dovuto ovviamente non può essere “indebito”, ma “lecito”.
“Una legge che porta a effetti irragionevoli non è una legge razionale. Dunque non solo una razionalità sistematica, ma anche una razionalità pratica. E allora può ritenersi razionale, nel nostro caso, la condotta di una persona che con coscienza e volontà rende dichiarazioni non veritiere al fine di perdere un beneficio a cui ha diritto?” ha commentato l’avv. Falci nel suo intervento nell’Aula Magna della Cassazione, per poi finire dicendo “fino a oggi abbiamo creato i concetti di falso innocuo e di falso inutile, quello di cui parliamo sarebbe un terzo tipo, il falso dannoso”.
Ulteriore passaggio importante è stato l’”accusa” dell’avv. Falci all’INPS: “ci troviamo a discutere di questa vicenda non perché E.G. ha dimenticato di indicare un cespite nella autodichiarazione, ma perché l’INPS non ha svolto il dovuto accertamento previsto dalla stessa legge”. Questo istituto, sempre a mente dello stesso art. 7 D.L. n. 4/2019 avrebbe dovuto controllare le domande e dopo disporre l’ammissione al beneficio. È evidente che questo non è avvenuto perché l’accertamento della G.d.F. è consistito nella interrogazione telematica del sito dell’Agenzia del Territorio con il codice fiscale del sig. G. che l’INPS non ha fatto.
Un momento che ha destato emozione nella udienza è stato quando il P.G. ha citato il suo Maestro, il Prof. Marcello Gallo al quale l’avv. Falci ha risposto citando il suo di Maestro, il Prof. Giuseppe Gianzi; un tributo da parte di due maturi giuristi ultrasessantenni nei confronti di chi li ha formati con insegnamenti tecnici e non solo.
Ora questa importante decisione apre la strada per riaprire tutti quei processi in cui si è liquidata la questione a danno del beneficiario del reddito che gli è stato revocato ingiustamente, se nella stessa situazione di E.G..
Giovanni Falci
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